19.05.2020 - LE CINÉPHILE

Un romano in capo al mondo

Alberto Sordi sicuramente avrebbe trovato il modo di scherzarci su, magari con un improbabile parallelo con Raffaello o col campionato di calcio: la pandemia di questo 2020 ha cancellato tra gli altri eventi la grande mostra per il Centenario (15 Giugno) di Alberto Sordi. Come si sa sono vietati gli assembramenti, che in questo caso sarebbero stati inevitabili: persino i funerali del 2003 (tradizionalmente celebrati nella Chiesa degli Artisti di P.za del Popolo) dovettero traslocare a P.za San Giovanni, l’unica capace di accomodare i 250mila intervenuti. Eppure il suo era stato un addio lungo vent’anni: l’ultimo film ancora godibile resta “Il Marchese del Grillo”, che pure rubava più di qualche battuta a Gioacchino Belli. I titoli successivi si erano fatti via via crepuscolari e malinconici (“Una botta di vita”, “Nestore, l’ultima corsa”), le partecipazioni imbarazzanti (“Vacanze di Natale ‘91”) o stonate (“Troppo forte”). L’ultima sua regia (“Incontri proibiti”) era stata addirittura rieditata senza successo con un altro titolo. Quando è scomparso Sordi era assente dagli schermi da due anni: il suo posto era stato preso dall’imitatore Max Tortora (“Convenscion”, 2002) che involontariamente ma grottescamente ricalcava il vero attore confinato su una poltrona col plaid sulle gambe, come si può vedere su Youtube nell’ultima intervista rilasciata un mese prima della morte. Come spesso succede, insomma, c’è voluto il suo trapasso per metterlo in prospettiva e farci capire la sua grandezza: questi 17 anni sono stati una celebrazione continua (avviata del resto proprio da lui nel 1979 con la serie TV “Storia di un italiano”). Il Comune di Roma che per il suo 80° compleanno lo aveva eletto “Sindaco per un giorno” gli ha poi intitolato quella Galleria Colonna dove Sordi aveva girato varie scene di “Polvere di stelle”. E dal 2004 è partita la serie di omaggi: prima la mostra al Vittoriano “Un italiano a Roma”, che ha aperto al pubblico i suoi archivi rivelando la meticolosità dietro l’apparente improvvisazione dell’attore, coi copioni di film secondari come “Ladro lui ladra lei” pieni di annotazioni a matita, battute corrette e movimenti di scena come nemmeno in un testo di Pirandello. Poi il documentario di Luca Verdone “Alberto il grande” (2013), che ci ha fatto finalmente entrare nella leggendaria villa alle Terme di Caracalla - completa di piscina, cinema privato e salone di barberia – e ci ha presentato la bizzarra corte di autisti, domestici e parenti che come in “Arrivano i dollari” (1957) avrebbero poi riempito le colonne di cronaca coi soliti, squallidi contenziosi tra eredi. Da allora quel lato privato tenacemente difeso in vita è diventato un libro aperto: abbiamo capito che Sordi non era avaro come si diceva ma faceva sommessamente beneficenza, che aveva amato molte donne ma nessuna quanto il suo pubblico, che dalla morte della sorella Savina aveva abbandonato la vita mondana e conviviale degli anni d’oro, che sul set non concedeva un centimetro ai comprimari come documenta impietosamente Tatti Sanguineti nel suo “Il cervello di A. S.”. Il recente documentario di Fabrizio Corallo (“Siamo tutti A. S.?”) ci ha dimostrato che su di lui non è rimasto più niente da dire, la contestata fiction “Permette? A. S.” ci ha confermato che il nostro era e resta inimitabile. Ma soprattutto ci siamo resi conto che malgrado i cento anni dalla nascita, i 187 film, le mille serie radiotelevisive e le canzoncine sincopate sulle nonnette Albertone ci manca. Ci manca un attore capace di recitare con la nuca (si veda l’inizio di “Una vita difficile” o il finale de “La grande guerra”), ci manca un mimo in grado di passare in dieci secondi dalla costernazione all’indignazione e alla rabbia (nel finale di “Una vita difficile”), uno showman capace di risollevare una stanca ospitata a Canzonissima con un folgorante “Tuca Tuca” completo di palpate proibite a Raffaella Carrà. Arrivederci al 2120, Alberto, alla faccia del Coronavirus: tanto saremo ancora qui a rivedere “I vitelloni” o “Un americano a Roma”.